GUIDA
"Città dell'olio. Bandiera blu d'Italia 2002-03-04": il cartello stradale non lascia dubbi. A Pisciotta bisogna fermarsi, e per diversi motivi. Per gli oliveti, innanzitutto, che circondano il paese; per la storia, antichissima, di questo borgo raccolto intorno all'ex castello baronale, per le sue chiese. Ma soprattutto bisogna far tappa lungo la bella marina, la zona balneare che vanta, come si è visto, uno dei mari più puliti di tutta la penisola italiana. Ma andiamo per ordine. Le olive sono un frutto di cui si trova traccia nei documenti storici più remoti. Risalgono a più di 4000 anni fa i provvedimenti del re di Babilonia, Hammurabi VII, sulla coltivazione, il commercio e il controllo dei prodotti delle olive. In Cilento l'olivo arrivò con i Greci, otto secoli prima di Cristo, e trovò il terreno e le condizioni ideali per crescere e diffondersi. Gli olivi di Pisciotta, in particolare, sono enormi e raggiungono spesso 18 metri di altezza e 12 di diametro. Per questo e per l'eccellente qualità dell'olio che se ne ricava la produzione olearia locale ha ottenuto la denominazione di origine controllata.
Il toponimo Pisciotta pare derivare da Pixous il nome della comunità che fondò la città nel 900 a.C. circa. Nel VI secolo d.C. fu sede vescovile e in seguito divenne parte del Principato di Salerno, durante la dominazione longobarda. Sotto Guglielmo II, troviamo per la prima volta l'indicazione del borgo con il termine di Pisciocta, feudo di un tale Florio di Camerota.
Oggi come ieri, l'abitato bruno-rossastro sorto su uno sperone di roccia lungo e stretto, si stringe intorno a palazzo Ciaccio, l'ex castello baronale secentesco, dove via via, nel corso dei secoli, si avvicendarono tanti signori fino alla fine del feudalesimo. Conserva ancora la chiesa del Carmine e la chiesa madre dei SS. Pietro e Paolo, eretta nel XIX secolo su fondamenta medievali. Ci sono inoltre i resti del convento dei Minori osservanti, fondato da Giovanni d'Aragona: nel periodo napoleonico, venne requisito dalle autorità militari per ospitare le guarnigioni.
Da qui, poco oltre l'estremità orientale del paese, si devia dalla SS 447 in una strada panoramica che attraversa il vallone Santocchi e scende, con numerose svolte negli oliveti e bella vista sul mare, dopo 5 km, a Marina di Pisciotta.
Prima di scendere lungo la litoranea, però, deviate sulla strada provinciale 64 verso San Mauro la Bruca, dove l'antico impianto medievale dell'abitato si conserva sulla sommità di una collina. Vi si trovano il palazzo baronale De Cusatis e, nella frazione San Nazario, l'abbazia di San Nilo, fondata prima dell'anno Mille dai monaci italo-greci. La località è rinomata soprattutto perché è qui che su producono i migliori liquori del Cilento, distillati a base di fragoline, mirtilli, corbezzoli, ma anche frutti come limone, arance, ciliegie, albicocche e fichi. Famoso è anche l'amaro San Mauro, digestivo e rinfrescante.
Chi dice Pisciotta dice l'olio d'oliva più buono di tutto il Cilento. Nell'area Pisciottana, infatti, crescono gli olivi più alti e grande della regione, dai quali si ricava una produzione olearia di tale qualità da essersi meritata la denominazione d'origine protetta (DOP). In ogni caso, non solo Pisciotta, ma tutti i comuni del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, marini e montani, sono ricchi di oliveti. Gli oli prodotti nell'area appartengono a due DOP, entrambe riconosciute nel 1998-99. La DOP Cilento (alla quale appartiene l'olio pisciottano) abbraccia la costa e l'area sudest, mentre la DOP Colline Salernitane interessa la zona settentrionale del Parco. Da sempre in questo territorio i sistemi di coltivazione sono biologici e non prevedono l'uso di pesticidi. Gli extravergine a denominazione di origine hanno caratteristiche organolettiche simile: il colore varia dal verde al giallo paglierino (più o meno intenso), odore fruttato medio leggero (Cilento) o medio-alto (Colline Salernitane), sapore anch'esso fruttato, con una debole o appena accennata sensazione di amaro o di piccante. Sono il condimento ideale per il pesce azzurro e per le carni alla griglia.
A Palinuro si arriva percorrendo la SS 447 che, in questo tratto, rasenta le spiagge belle e sabbiose e lambisce la torre dei Caprioli. Palinuro è un centro turistico importante conosciuto a livello internazionale dopo che la catena francese di club-vacanze Mediterranée (ora, più semplicemente, Med) aprì qui il suo primo villaggio in Europa. Adesso il club non esiste più, ma sussistono le ragioni per cui fu scelta la località balneare sulla costa cilentana: mare di una purezza unica, natura selvaggia, panorami mozzafiato. E un pizzico di mitologia, che non guasta mai. Si dice, infatti, che Palinuro debba il suo nome allo sfortunato nocchiero che, come racconta Virgilio nel VI canto dell'Eneide, cadde in mare a causa del troppo sonno. Non trovò la morte tra le onde, ma venne trucidato dagli abitanti del luogo quando riuscì a raggiungere la terra ferma.
Del resto l'attuale Capo Palinuro è sempre sempre stato un passaggio difficile per i naviganti dell'antichità. Una seconda spiegazione dell'etimologia Palinuro, infatti, si basa sulla traduzione dal greco di Palin (indietro, altrove) e Ouros (bufera, vento di mare), ovvero il punto dove gira il vento, mettendo in pericolo la navigazione. Comunque sia il promontorio è la caratteristica principale di Palinuro. La cittadina affonda le sue radici nel passato più lontano. Scavi condotti a nordest dell'abitato nel 1939 e nel 1947-49, hanno infatti rivelato una necropoli del VI secolo a.C., riferibile a un insediamento indigeno ed ellenizzato, alleato con la vicina Molpa. Sussistono infine testimonianze delle epoche più recenti, come il palazzo baronale Rinaldi in cui dimorò nel 1814 Gioacchino Murat, cognato di Napoleone. Venne qui per ispezionare i fortini costieri e potenziarli contro eventuali attacchi nemici. Probabilmente entrò anche nelle numerose grotte che si spalancano, oggi come allora, nella costa rocciosa e frastagliata, compatta e insieme fragile, che contorna Palinuro e l'omonimo capo. Tra queste la più famosa è la Grotta Azzurra che nulla ha da invidiare alla consorella di Capri, se non la fama. La sue stalattiti, quando filtra la luce del giorno, si accendono di riflessi turchesi, soprattutto a mezzogiorno e al tramonto. Si può raggiungere soltanto in barca, come le successive grotte d'Argento, del sangue e dei Monaci. La Grotta del Sangue è stata così soprannominata per il colore delle pareti: sono rosse per via di una microalga. Quella dei Monaci invece, deve il nome alla forma delle sue stalattiti: sembrano proprio tanti monaci in preghiera. Nella Grotta delle Ossa, invece, sono stati trovati reerti ossei preistoricidi oltre 50000 anni fa e fossili di conchiglie. Si tratta per lo più di tracce di trogloiti dell'epoca quternaria e in particolare armi di selce e ossa di animali antidiluviani. Come si vede, Palinuro mostra, dal mare, una storia geologica significativa, che continua con la grotta Visco, anch'essa abitata da uomini paleolitici. L'arco naturale di roccia che sorge nei pressi della foce del fiume Mingardo, con una romantica spiaggia, completano il già suggestivo quadro.
Da non perdere poi, c'è anche la minuscola, ma caraibica, Baia del Buondormire: si raggiunge dal mare o via terra, lungo una scalinata di 500 gradini ricamati tra olivi, ginestre e mirti. E chissà che, durante la passeggiata, non vi capiti di imbattervi in una delle rare primule palinurensi, divenute simbolo, insieme alla lontra, del parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Sbocciano tra febbraio e marzo e sbucano gialle tra le fessure delle rupi sul mare, soltanto sul litorale tirrenico che va da Palinuro alla piccola calabrese Isola di Dino.
Sentieri e strade possono condurvi all'istmo di Molpa e alle rovine del castello. La passeggiata a piedi dura circa mezz'ora (ma potete anche andarci in auto, seguendo la SS 447 per Centola fino al bivio con il fiume Lambro, e poi imboccando la SS 562) e scende tra gli oliveti, a partire dalla chiesa di Palinuro, dapprima lungo il letto che un ruscello si è aperto nella roccia calcarea e poi lungo il letto del Lambro. Si giunge così ad una piccola spiaggia arenosa, detta Marina di Molpa. Al di là del Lambro si leva un colle dirupato e, proprio sopra, sorgeva una volta Molpa. Pare sia stata una dipendenza della colonia greca di Elea-Velia, e cioè uno dei portus Velinosdi Virgilio, verso cui nuotò lo sventurato nocchiere di Enea, Palinuro. In essa si ritirò l'imperatore di Massimiliano dopo la sua rinuncia all'impero. Molpa fu presa dai Goti, ripresa da Belisario, saccheggiata dai Saraceni nel 1113, distrutta dal corsaro Barbarossa e infine abbandonata; una parte degli esuli fondò Centola. Su quella che fu l'acropoli, restano oggi i ruderi del castello. Di Centola, invece, vale la pena rammentare che si tratta del comune al quale fanno capo le quattro frazioni di Palinuro, San Severino, Foria e San Nicola di Centola. Si allunga sul crinale che separa le valli del Mingardo e del Lambro, e prese il nome, si racconta, dai cento fuggiaschi di Molpa: furono detti centum illuc, ovvero i "cento là", e poi centulas, da cui deriverebbe l'odierno toponimo.
Ha 540000 anni e.. li dimostra tutti. E' l'Homo Camerotensis, o almeno quello che resta di lui, contemporaneo dell'Uomo di Neanderthal, nelle grotte aperte lungo il litorale di Marina di Camerota. I suoi resti sono stati trovati nel corso degli anni e degli scavi che si sono susseguiti nel XX secolo e, in particolare, dal 1954 in poi. Fino ad allora, la più nota e famosa era quell detta Grotta dele Ossa, con stalattiti, stalagmiti e le pareti incrostate di ossa di uomini e di animali: per ungo tempo furono erroneamene credute vittime dei naufragi di due flotte romane avvenuti in questi paraggi. Studi più recenti hanno permesso il ritrovamento, in questa cavità, di armi di selce e di ossa di animali antidiluviani, indizio sicuro di uomini primitivi dell'epoca quaternaria. Nel 1954, infine, il Centro Speleologico scopri nella Grotta della Cala i primi resti umani della zona: un frammento di mascella, un pezzo concrezionato di tibia, qualche vertebra: era l'Homo Camerotensis, caratterizzato da un mento particolarmente prominente. Proprio per questo motivo, le grotte sono considerate tra i più importanti ambienti di archeologia preistorica dell'Italia meridionale.
Continuando lungo la costa, da Palinuro si approda, lungo la SS 562, alla cosiddetta cala del Cefalo, la baia che, con la sua sabbia, prepara al fitto oliveto in cui sorge il villaggio vacanze del Touring Club Italiano, su un'area di oltre 60.000 metri quadrati, a ridosso di una bella spiaggia sabbiosa. Pochi chilometri più avanti, ecco Marina di Camerota, grosso centro turistico-balneare sviluppatosi in una posizione invidiabile, su un promontorio tra la punta della torre dell'isola e quella della torre Zancale, tra rocce e scogliere. La costa, come a Palinuro, è un susseguirsi di grotte, parecchie delle quali sono di grande interesse paleontologico e paletnologico, come quella della Cala nella quale sono stati rinvenuti i resti dell'Homo camerotensis, oltre a numerose selci, schegge di quarzite e di diaspro, frammenti di ossa di animali e di conchiglie. Tutto ciò dimostra che la grotta era adibita, nella preistoria, a dimora umana. Una grotticella vicina serviva per seppellire i morti, ma venne in gran parte demolita per l'ampliamento di una strada costiera. La Grotta della Cala, sopraelevata, si presenta come una balconata verso il mare. Le pareti dell'antro, ornate di felci e capelvenere, sono chiazzate di rosa, bruno, nero, giallo e bianco a causa dei rivestimenti micofitici. Altre cavità di rilievo sono la Grotta della Serratura (cosiddetta per la forma dell'ingresso), la Grotta del Cimitero (si trova nelle vicinanze del cimitero) e la Grotta della Calanca, in cui furono rinvenuti resti di fauna quaternaria. Un giro in barca offre sicuramente una visone più precisa della conformazione della costa e delle altre spaccature, meno rilevanti sotto il profilo paleontologico, ma non meno belle e suggestive: accanto alla penisoletta Zancale c'è la Grotta degli Innamorati. I vecchi pescatori narrano che, quando le giovani coppie venivano ostacolate dai genitori, scappavano qui. E al loro ritorno a casa le famiglie si vedevano costrette a celebrare il matrimonio riparatore. Sul nome di Cala Montediluna, le ipotesi sono due. La prima è legata all'impressione che si ha guardando la cala dal paese: pare che la luna sorga dal- l'omonimo monte che sovrasta la cavità; la seconda fa riferimento alla forma della grotta, molto simile a quella di una luna intagliata nella roccia. Storie e leggende sono alla base anche dei nomi di Grotta Boccadipera, cala Magnosa, Grotta del Pozzallo, del Presepe, delle Noglie, ma è la Grotta di Porto degli Infreschi la più famosa e interessante. Il porto è un'insenatura naturale circolare, sulla quale si fronteggiano la cappella di San Lazzaro e la torre del Frontone, costruita anch'essa, come tante altre, per avvistare e difendersi dai Saraceni. Qui i Romani si rifornivano dell'acqua dolce che fuoriusciva (e fuoriesce) da un pozzo. Nei calcari delle rocce, si apre la fessura da cui si accede alla grotta, detta degli Infreschi per via della frescura che vi è nell'interno, grazie alla presenza della sorgente. Una volta veniva usata addirittura come frigorifero naturale dove conservare il tonno appena pescato. Per raggiungerla, ci si può affidare alla Cooperativa Cilento Mare (tel. 0974932978, www.coopcilentomare.com): organizza gite in barca lungo il tratto del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano che va dal porto di Marina di Camerota a Porto degli Infreschi, oggi riserva naturale protetta. Le imbarcazioni sono i tipici gozzi dei pescatori, che entrano facilmente sia nelle cale sia nelle grotte. I pescatori di Cilento Mare sono anche disponibili a portare i turisti in mare per la "lamparata", cioè la pesca del pesce azzurro (con tipica cena a bordo a base di pescato e friselle). Chi, però, alle onde preferisce la stabilità della terraferma, non ha che da chiedere. La cooperativa prevede anche percorsi di trekking guidati attraverso le spiagge più belle del litorale (Lentiscelle, San Domenico, Marina delle barche, spiaggia del Mingardo, del Troncone, di Porticello, d'Arconte..). Sono tante, e tutte caratterizzate da un mare così ecologicamente sano da essersi meritato, nel 2001, le cinque bandiere (il massimo) di Goletta Verde.
Scoperta nel 1787 da Vincenzo Petagna, appassionato di botanica, la Primula Palinuri, tra tutte le piante e i fori endemici del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, è la più conosciuta, ma anche la più fragile e la più esposta al rischio d'estinzione. Pare che si sia poco per volta spostata dalle montagne alle terre vicine al mare, iniziando il suo lungo viaggio circa due milioni di anni fa. Dal suo scopritore ha ereditato il nome completo che la distingue: a voler essere precisi infatti, si chiama Primula Palinuri Petagna.
Due parole anche sul toponimo Camerota, in greco antico, karmarotòn significa "volta", "fatto a volta". Potrebbe pertanto ri- ferirsi sia alle volte delle abitazioni e delle strade coperte costruite nella cittadella, che alle grotte naturali della zona. È vero, però, che altri appassionati di etimologia e mito- logia propendono per un'altra spiegazione: secondo alcuni, infatti, Kamarotón era il nome della seducente donna amata da Palinuro, che Venere, invidiosa, tramutò in roccia desolata
Il comune di Camerota, al quale appartiene la marina fin qui descritta, si trova nell'entroterra, a più di 300 metri sul livello del mare. Conserva il castello marchesale, che risale all'alto Medioevo, un convento cappuccino del XVII secolo e una tradizione artigiana singolare: alcuni vasai lavorano tutt'ora secondo metodi che si rifanno all'epoca della Magna Grecia. La cittadella, dalle caratteristiche viuzze coperte dagli archi a tutto sesto, si sviluppo intorno al castello nel V secolo a.C., e vi si accedeva attraverso tre porte: la prima, la porta di Suso, è l'unica attualmente visibile. Le altre, porta di Santa Maria e di San Nicola, venivano aperte a orari stabiliti con tre chiavi d'argento. Proseguendo tra olivi e castagneti, si tocca, dopo una decina di chilometri, l'abitato di Licusati, dal quale si accede alla sella tra il Tozzo del Finocchio, ultima propaggine del monte Bulgheria, e il monte Croce del Calvario. Una curiosità: Licusati deve il suo toponimo a un'antica usanza secondo cui gli abitanti erano distinti in scapoli e ammogliati: i primi, vivevano nell'abbazia di San Pietro; i secondi, "li accasati", appunto, sulla riva opposta del ruscello Marabisi. Con altre svolte, la strada scende fino alla rocca in rovina del Castelluccio e alla valle del Mingardo. Siamo nei pressi del borgo abbandonato, e quindi fantasma, di San Severino, che sbuca su una cresta rocciosa affilata come una lama. Il castello e le poche rovine intorno, tra cui la chiesa di Santa Maria degli angeli, si trovano su un ripido contrafforte del monte Chiancone. Il castello servi prima ai Longobardi e poi ai Normanni, per controllare la via commerciale della valle del Mingardo. Lo si raggiunge a piedi, lungo una scalinata e poi un'erta salita di pietre, ma il sito merita senz'altro un sopralluogo per lo scenario naturale in cui si erge solitario e unico, quasi un set cinematografico di rara suggestione.
Rientrando su Camerota, si può imboccare la strada statale 562 per raggiungere Lentiscosa e San Giovanni Piro. Lentiscosa la si riconosce a prima vista: è una macchia di casette candide che interrompe il verde fillo dei pini di Aleppo che la circonda, sul versante orientale del monte Croce del Calvario. Il suo nome deriva dal lentisco, il tipico arbusto della flora mediterranea. Qui è d'obbligo recarsi a visitare la chiesa di Santa Maria delle Grazie, originale nella sua struttura secentesca, ma anche il monastero e il bosco di Sant'Iconio. A pochi chilometri, ci si deve invece fermare a San Giovanni a Piro, dove si trova l'abbazia di San Giovanni Battista, fondata dai monaci italo-greci di Rossano (Calabria), sul finire del X secolo d.C. Fu un importante centro di vita religiosa e culturale per i secoli a venire, tanto che nel 1462 fu affidata alla gestione del cardinale Giovanni Bessarione, creatore del- la biblioteca Marciana di Venezia, al quale successe l'umanista bizantino Teodoro Gaza fino al 1475. Ma la badia non è l'unico monumento a carattere religioso del paese. Ci sono anche le chiese di San Pietro e di San Gaetano, oltre alla sorgiva considerata miracolosa dove è stato fondato il santuario della Madonna di Pietrasanta (XV secolo).
La struttura della chiesa di San Pietro è a tre navale, con un altare del 1596 e una torre con tre campane (una risale addirittura a oltre un secolo fa). La chiesa di San Gaetano, invece, fu fondata nel 1660 e consacrata originariamente a Santa Rosalia. Da notare il campanile: la sommità ricalca infatti le linee tipiche dell'architettura moresca. Nel complesso, l'abitato è interessante per la compresenza di molti elementi medievali, dai portali in pietra agli archi, dalle scalette alle balconate in ferro battuto. San Giovanni a Piro, inoltre, è il punto di partenza ideale per andare alla scoperta del monte Bulgheria (tre ore circa di cammino, ma è raggiungibile anche a cavallo o in mountain bike). Punta estrema di un possente e allungato massiccio calcareo, il Bulgheria è un vero e proprio ecosistema nel quale crescono lecci, ontani, castagni secolari e un iridescente tappeto di lavanda (per escursioni e visite guidate, rivolgersi alle Guide ufficiali del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, tel. 338-6133020). A vederlo dal basso, pare quasi un leone di roccia che domina incontrastato il paesaggio. Le sue formazioni calcaree, infatti, assumono in più di un caso figure singolari. Dalla contrada Pedale, si percorre verso nord il sentiero detto strada Macera. Giunti al piano di Barra, si sale direttamente alla vetta (1225 metri), da cui si gode di una splendida vista a 360 gradi sulle vallate sottostanti, fino ai litorali bagnati dalle acque del Golfo di Policastro, delimitato a est dalla costa calabra.
Agosto è il periodo dell'anno più denso di appuntamenti: a metà del mese, ad Ascea, la Festa degli Antichi sapori coniuga degustazioni di specialità regionali a mostre e spettacoli. La manifestazione di Ascea è solo una delle numerose sagre e celebrazioni popolari che si svolgono nella zona. Durante tutta l'estate, infatti, si organizzano sfilate allegoriche, giochi, spettacoli e fuochi d'artificio. In particolare. il visitatore ha spesso l'opportunità di gustare i prodotti tipici della zona, come il pesce azzurro e la melanzana.
Ridiscendendo lungo la SS 562, da San Giovanni Piro, si arriva in pochi minuti all'abitato costiero di Scarlo: è la prima località affacciata sul Golfo di Policastro, e vanta una storia non da poco. Innanzitutto, deve il suo toponimo al greco scariòs, ciòè piccolo cantiere navale. Era qui, infatti, che i mercanti romani acquistavano il garum, il prezioso (e famoso) condimento a base di pesce utilizzato per insaporire le vivande. In tempi più recenti, invece, il paese venne ribattezzato anche "orecchio di maiale", per la particolare forma dell'insenatura che lo caratterizza e lo ha reso un approdo sicuro. Oggi Scario è un piacevole borgo marinaro, con un lungomare punteggiato di palme, oleandri e begonie, ma anche di locali vivaci e accoglienti. Il faro che lo rende riconoscibile dal mare e la punta Garagliano completano la conformazione del suo comune, che gode di una vista unica e bellissima, da punta degli Infreschi fino al litorale calabrese.
Come a Palinuro e a Marina di Camerota, anche qui la costa è perforata da numerose grotte, tra cui la Grotta Grande che si apre a picco sul mare, 800 metri a ovest della punta Spinosa. L'ingresso è ovale e immette in due ambienti, nel primo dei quali sonostate rinvenute tracce risalenti al periodo musteriano e resti di fauna pleistocenica. Da Scario, si può continuare lungo la Ss 18 varcando il fiume Bussento, in direzione di Sapri, facendo tappa a Policastro Bussentino. La cittadina, che dà il nome a tutto il golfo, si è sviluppata intorno alle mura medievali costruite sopra le più antiche fondazioni d'età greca. L'attuale toponimo deriva dal latino medievale policastrum, città fortificata, e dal latino Buxentum. questo nome è la corruzione dall'originale greco Pixunte, con il quale la città è citata da Strabone e Livio. Entrambi i termini, latino e greco, a loro volta, rimandano alla pianta di bosso, che cresceva (e cresce) rigogliosa in queste zone. Al periodo romano risale l'antico lastricato stradale, recentemente valorizzato come spazio per manifestazioni artistiche.
La cittadina si visita principalmente per la cattedrale dell'Assunta, con cripta a pianta triconca (VI secolo a.C.) e un campanile ornato da arcate intrecciate e sculture rinascimentali. Innalzata nell'XI secolo, sull'area di un tempio pagano e sulle vestigia di una chiesa bizantina, la cattedrale presenta, in facciata, un portale di raffinata fattura. Fu commissionato dal vescovo Carlo Fellapane, nel 1455: reca, in alto, una splendida edicola in marmo con la Vergine in trono con il bambino, fiancheggiata da due angeli: quello di destra sottomette il borgo di Policastro; quello di sinistra le presenta il committente inginocchiato.
Il Museo diocesano, invece, preserva opere di notevole valore storico-artistico (per informazioni, tel. 0974985161). Vi si segnalano in particolare: un crocefisso in avorio, di gusto fiammingo (XVII secolo), dipinti, paramenti e suppellettili in argento (XVIII e XIX secolo); una croce processiona le in argento sbalzato, proveniente dalla parrocchiale di Santa Maria Assunta di Tortorella (seconda metà del XV secolo).
All'estremità del Golfo di Policastro, infine, ecco la "parva gemma maris inferi", come Cicerone amava definire Sapri. La "piccola gemma del mare del sud" fu eletta da Mas simiano Erculeo, imperatore romano d'Occidente, a propria residenza estiva, per la mitezza del clima e l'incanto del paesaggio circostante. L'eredità storico-culturale è ben evidenziata dai reperti archeologici, rinvenuti nello scavo di Santa Croce che, un tempo, era luogo di culto degli dei. Oggi l'area ospita la torre dell'orologio meteorologico (1927), di gusto neomedievale.
Poco più in là, si trova largo Pisacane, che si affaccia proprio sulla spiaggia dove sbarcarono Pisacane, appunto, e i 300 volonta ri da lui guidati nell'eroica e tragica spedizione. Un cippo, con i versi della celebre poesia La spigolatrice di Sapri, di Luigi Mercantini, ne ricorda l'impresa.
A Marina di Pisciotta c'è il ristorante Angiolina, immerso nel verde e vicinissimo al mare. Qui viene proposta una cucina tradizionale, arricchita di un pizzico di fantasia nelle composizioni. Protagonisti assoluti del menu sono le alici di menaica e i piatti di mare con pesce selvaggio, tra cui gli gnocchi di ricotta con crema di piselli, seppie e nero di seppia, o le zuppe mediterranee a base di molluschi e verdure estive. Un pasto semplice, ma molto caratteristico, a prezzi contenuti, si può fare a Camerota da Rianata 'a Vasulata (via San Vito 25, tel. 0974935156), aperto in primavera ed estate per servire piatti autenticamente cilentani, come la pizza rianata (origanata) senza mozzarella. Nel centro storico di Marina di Camerota, c'è La Cantina del Marchese (via del Marchese 13, tel. 0974932570), che prepara specialità tipiche del territorio, con prodotti semplici e saporiti. Sempre a Marina di Camerota, troviamo un ristorante di pesce con vista panoramica sul golfo, luogo ideale dove cenare in un'atmosfera disincantata immersi nei profumi della macchia mediterranea. Una menzione speciale per il Lounge Bar "San Domingo", sito in piazza San Domenico a Marina di Camerota, dove è possibile gustare il Mojito "Fruit Passion" più buono del Cilento. Nell'entroterra, a Licusati, l'agriturismo Angela (contrada S. Antonio, tel. 0974937540) ha un ristorante sempre aperto su prenotazione. Tra le specialità da non perdere, la zuppa di ceci, la pasta fatta a mano, formaggi e salumi.
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